Cosa Sono i Biocarburanti

I biocarburanti sono nuovi tipi di combustibile ottenuto da colture come il mais e la canna da zucchero, che si trasformano in etanolo, e piante oleaginose come soia e colza, che diventano biodiesel.
A differenza del petrolio, i biocarburanti sono fonti energetiche rinnovabili.
Il lavoro degli scienziati sta andando verso biocarburanti più sostenibili rispetto a quelli sopracitati, ovvero ottenuti da fusti e foglie che non si mangiano o da alberi e alghe. Con questi biocarburanti di seconda generazione, non c’è più la necessità di togliere spazio alle colture alimentari. Anzi, si potranno valorizzare terreni di scarso valore agricolo, scegliendo colture che necessitano di poche cure (acqua, fertilizzanti, pesticidi, ecc) o che crescono anche in ambienti poco adatti alle normali colture alimentari.

Con il termine biocarburanti ci si riferisce a combustibili spesso molto differenti e che sono il risultato di processi di produzione talvolta molto diversi. Ecco i vari tipi.

Biodiesel
Il biodiesel è un carburante rinnovabile, prodotto da oli vegetali come l’olio di palma, l’olio di semi di colza, di girasole e di soia o anche da oli di frittura esausti o grassi animali. Nei trasporti si può utilizzare puro o miscelato al gasolio tradizionale.

Bioetanolo
Il bioetanolo è un alcol prodotto dalla fermentazione di componenti zuccherine di parti vegetali (canna da zucchero e cereali). L’etanolo può essere utilizzato come combustibile in forma pura, ma di solito viene aggiunto alla benzina.

Biogas
Il biogas compresso è ottenuto mediante digestione anaerobica di liquami e rifiuti organici agro-alimentari (ma anche dalla frazione umida dei rifiuti). Il processo produce metano che, depurato, entra nel circuito del gas naturale per i trasporti.

Come Diventare un Ottico

La professione dell’ottico non è una professione sanitaria ma rientra tra le “arti ausiliarie delle professioni sanitarie”.
Non si tratta quindi di un professionista sanitario che cura dei pazienti bensì di un professionista che si occupa dei mezzi correttivi dei difetti della vista che realizza e adatta su prescrizione del medico oculista; inoltre esegue trattamenti alle lenti e ne individua e corregge i difetti.
Può esercitare la sua attività in proprio come libero professionista, in aziende di strumentazione ottica o in laboratori di montaggio di lenti. Può operare anche all’interno di strutture sanitarie pubbliche o private in collaborazione con il medico oculista; come titolare di un negozio specializzato, o come lavoratore dipendente in un punto vendita di ottica, all’interno del quale commercializza ausili visivi (lenti, montature, lenti a contatto), di protezione dai raggi ultravioletti e apparecchiature scientifiche.

Per questa figura professionale l’aggiornamento professionale è fondamentale, deve costantemente adeguarsi alle nuove tecnologie, al rapido sviluppo nella produzione delle attrezzature, dei materiali, di strumentazioni sempre più sofisticate, seguire ricerche e studi a livello internazionale (gli ottici-optometristi e oculisti studiano ad esempio le conseguenze sull’occhio dell’uso sempre maggiore di schermi e visori che stanno sostituendo l’informazione cartacea).

In molti casi l’ottico esegue esami a clienti che riscontrano una diminuzione dell’acutezza visiva fornendo egli stesso lenti correttive, questa pratica non deve però sostituire la visita periodica dal medico oculista per verificare anche la salute dell’occhio (ed evidenziare eventuali patologie oftalmiche – ad esempio un problema della retina o, tramite l’esame del fondo oculare, anche problemi di salute generale).

Formazione
La formazione necessaria per diventare ottico può seguire diversi percorsi:
– conseguire il diploma di “Tecnico per i servizi socio-sanitari”, rilasciato da un Istituto Professionale – Settore servizi – Articolazione arti ausiliarie professioni sanitarie ottico. La durata è di 5 anni con al termine esame di Stato
oppure
– dopo il diploma secondario superiore, frequentare un corso biennale post-maturità abilitante alla professione;
– dopo il diploma secondario superiore, frequentare il corso di laurea di primo livello in Ottica e optometria presso le Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali (di alcune università italiane). La laurea non è considerata abilitante alla professione, per cui sarà successivamente necessario frequentare anche un corso per acquisire ulteriori competenze e riuscire a superare l’esame di abilitazione.

Per esercitare la professione di ottico occorre necessariamente essere in possesso di una specifica abilitazione professionale, che è possibile conseguire:
– al termine di un corso di studi quinquennale in un istituto professionale di Stato con indirizzo in ottica-optometria;
– frequentando specifiche scuole regionali, cui si accede dopo un biennio di scuola media superiore;
– frequentando specifici corsi biennali riconosciuti dalle Regioni, cui si accede con il diploma di maturità.

Un altro percorso formativo è costituito dal corso di studi universitari (laurea triennale). Le materie oggetto di esame sono: anatomofisiologia oculare, biologia, chimica, epidemiologia e biostatistica in optometria, farmacologia e tossicologia oculare, fisica ed applicazione dei laser, fisica sperimentale, fisiopatologia oculare e umana, igiene e sicurezza in optometria, laboratorio di fisica e di informatica, matematica, morfologia umana, ottica geometrica e oftalmica, ottica per la contattologia, ottica visuale, psicologia e psicofisica della visione, tecniche fisiche per l’optometria, strumenti ottici e struttura della materia.
Accesso alla professione
Per esercitare la professione di ottico è necessario conseguire la licenza di abilitazione.
Per gli Istituti professionali l’esame di abilitazione si svolge contemporaneamente a quello di maturità. Il candidato dovrà affrontare una prova pratica di laboratorio, il cui esito dovrà essere positivo pena la validità dell’esame; una prova scritta sulle materie caratterizzanti dell’ultimo anno; infine, una prova orale che comprende tutte le materie studiate nell’ultimo anno. Se risultato idoneo, si ottiene la licenza che consente l’esercizio della professione in qualità di dipendente presso studi di optometria e applicazione di lenti a contatto e presso negozi di ottica oppure in qualità di libero professionista.
La professione di optometrista è ancora priva di una regolamentazione giuridica, che ne definisca il profilo professionale e i relativi ambiti di lavoro.

Nell’Unione Europea
Per questa professione è in corso una rivisitazione dei percorsi formativi specifici per adeguarli a quelli di altri paesi europei. In Italia, ad esempio, l’optometria – scienza che deriva dall’ottica e che tende a perfezionare i metodi di studio dei difetti visivi e l’applicazione dei relativi rimedi – costituisce ancora una possibile fase del cursus formativo dell’ottico. All’estero, invece, la figura di ottico optometrista è in molti casi riconosciuta e il livello di formazione corrispondente è quello universitario.
I cittadini italiani che hanno conseguito un titolo professionale dell’area sanitaria in Italia e vogliono esercitare la professione in un altro paese comunitario devono presentare domanda di riconoscimento del titolo all’autorità competente del Paese estero.
Coloro che hanno conseguito all’estero un titolo professionale dell’area sanitaria e intendono esercitare la professione in Italia devono presentare al Ministero della Salute italiano una richiesta di riconoscimento del titolo, utilizzando gli appositi modelli scaricabili direttamente dalla pagina del sito del Ministero.

Come Risparmiare Energia Cambiando Abitudini

L’Agenzia europea dell’ambiente ha pubblicato un rapporto che si interroga su cosa fare per raggiungere consistenti risparmi energetici attraverso il cambiamento dei comportamenti dei consumatori.

Fino al 20% dell’energia che attualmente consumiamo potrebbe essere risparmiata attraverso un adeguato cambiamento dei propri stili di consumo. In particolare l’Agenzia europea per l’ambiente evidenzia quattro punti:

Le politiche di efficienza energetica dovrebbero essere progettate tenendo in considerazione il fatto che molti fattori influenzano i comportamenti dei consumatori, ad esempio lo sviluppo tecnologico, la situazione economica generale, l’età, le norme sociali, i sistemi di valori, le caratteristiche culturali e le strategie di mercato. Perciò bisognerebbe concentrarsi sulle pratiche di consumo e su come queste si sviluppano nella società, coinvolgendo una gamma di attori molto ampia
Le modalità di fornire un riscontro sui propri consumi energetici dovrebbero essere migliorate. Senza un adeguato quadro di riferimento, i consumatori non possono sapere se i loro consumi sono eccessivi o no.
Dovremmo essere attenti al fatto che le infrastrutture energetiche giocano un ruolo attivo nel determinare cosa le persone considerano “normale” dal punto di vista del consumo di energia. Le auto che guidiamo, gli edifici in cui viviamo, il modo in cui i servizi energetici sono distribuiti: sono tutti fattori che influenzano il modo in cui pensiamo l’energia.
L’attuale modello di business per l’industria energetica dovrebbe essere modificato, in modo da permettere al consumatore di impegnarsi nel mercato energetico. Per esempio, le tariffe dell’energia più flessibili potrebbero aiutare a massimizzare i benefici delle informazioni in tempo reale che i contatori intelligenti dei consumi possono fornire.
Ad ogni modo, non tutti i consumatori risponderebbero allo stesso modo a questi cambiamenti. Un certo “effetto rimbalzo” potrebbe verificarsi nell’applicazione di politiche di efficienza energetica, ma è difficile pensare che queste difficoltà siano tanto elevate da controbilanciare i benefici di tali politiche. Inoltre, le politiche di miglioramento dell’efficienza energetica portano vantaggi molteplici in termini di occupazione, salute e competitività e anche questi potrebbero essere tenuti in grande considerazione.

Per integrare quanto emerge dal rapporto, l’Agenzia europea dell’ambienta ha anche promosso un sondaggio per chiedere ai consumatori un’opinione sulle misure promosse per facilitare la riduzione dei consumi nelle abitazioni.

Definizione e Significato di Titoli di Credito

Un Titolo di Credito, in senso generico, è un sostituto del denaro o uno strumento con il quale è possibile trasferire un diritto da un soggetto ad un altro, diritto indicato all’interno del medesimo titolo, con la consegna del documento contenente anche le modalità di esecuzione.

I Titoli di Credito, quindi, permettono una facile e snella circolazione dei diritti  in essi indicati.    Il Codice Civile nel Libro IV, Libro Quarto “Delle obbligazioni”, Titolo V “Dei  titoli di credito”, Capo I “Disposizioni generali”, Art. 1992 “Adempimento della  prestazione” cita:    “Il possessore di un titolo di credito ha diritto alla prestazione in esso indicata  verso presentazione del titolo, purché sia legittimato nelle forme prescritte dalla  legge”.    “Il debitore, che senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei confronti  del possessore, è liberato anche se questi non è il titolare del diritto”.

Il Titolo di Credito è riassumibile in uno strumento principalmente di tipo  cartaceo  e  di  natura  finanziaria  utilizzabile  nelle  modalità  e  alternative  consentite dalla legge vigente.

Considerando le modalità di trasmissione del  credito, si distinguono in Titoli
-Al portatore:  trasferibili  con  la  consegna  e  il  possessore  ha  diritto  a  ricevere  la  prestazione  in  esso  indicata;  esempio:  banconote,  monete
-All’ordine:  trasferibili con la girata conferendo la titolarità del credito al soggetto  possessore o indicato nel titolo; esempio: assegni bancari, cambiali.
-Nominativi:  intestati a un soggetto specifico e identificabile scrivendo sul titolo il  nome e cognome e altri eventuali dati necessari a rendere univoco il  beneficiario; esempio: i libretti di risparmio.

I titoli di credito rappresentano quindi uno strumento molto importante.

Come Diventare un Ortottista

La professione di ortottista – assistente in oftalmologia è regolamentata dal Decreto Ministeriale 14 settembre 1994, n. 743.
Questo professionista è specializzato nella prevenzione, valutazione e riabilitazione ortottica dei disturbi visivi.
Sono di sua competenza, in particolare, la valutazione e la riabilitazione dello strabismo e dell’ambliopia.
Si occupa, inoltre, dell’esecuzione degli esami strumentali oculistici e della rieducazione dei pazienti ipovedenti.
Tra i suoi compiti rientra anche la prevenzione visiva in età infantile, prescolare e scolare, con l’esecuzione di screening nelle scuole materne ed elementari, presso i consultori pediatrici, nei reparti di neonatologia e pediatria.
Può svolgere la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, in qualità di dipendente o libero-professionista. Opera soprattutto negli ospedali, nelle ASL, nei servizi di medicina scolastica o del lavoro e negli istituti di neuropsichiatria infantile. L’accesso nelle strutture pubbliche avviene mediante pubblico concorso.

Formazione
Per intraprendere la professione di ortottista – assistente in oftalmologia è necessario conseguire la laurea di primo livello in Ortottica e assistenza oftalmologica, che ha anche funzione abilitante. L’accesso al corso di studi è a numero programmato: bisogna essere in possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo grado e superare un test di ammissione, comune a tutti i corsi di laurea appartenenti alla Classe L/SNT02 – Lauree delle professioni sanitarie della riabilitazione. La prova d’accesso viene predisposta annualmente dal MIUR e comprende una serie di domande volte a valutare le capacità logiche e di interpretazione dei testi dei candidati, nonché le conoscenze nelle seguenti discipline: cultura generale e ragionamento logico, biologia, chimica, fisica, matematica.
Il corso è attivato presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di alcune università italiane. Per maggiori informazioni sui corsi di laurea attivati presso gli atenei italiani consultare il sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Dopo aver conseguito la laurea di primo livello è possibile proseguire con gli studi in ambito universitario, frequentando un corso di laurea magistrale nel medesimo ambito. I corsi sono a numero programmato e limitati e vi si potrà accedere solo dietro superamento di una prova di ammissione.

Accesso alla professione
In Italia la professione dell’ortottista – assistente in oftalmologia è regolamentata per legge.
Per poterla esercitare è necessario essere in possesso della relativa laurea di primo livello, che ha anche funzione abilitante. Inoltre, è previsto l’obbligo di partecipazione a corsi di aggiornamento e qualificazione, nell’ambito del programma nazionale per la formazione degli operatori della sanità ECM – Educazione Continua in Medicina. Ulteriori informazioni sul sito del Ministero della Salute.
Nel 2006 è stata presentata al Senato una proposta di legge, a tutt’oggi ancora in fase di approvazione, che stabilisce i criteri per la definizione del profilo professionale e del percorso formativo dell’ortottista – assistente in oftalmologia.

Nell’Unione Europea
La professione di ortottista – assistente in oftalmologia è presente ed è regolamentata in molti Paesi europei. La libera circolazione è garantita dalle norme del Decreto Legislativo n. 115 del 1992[6], successivamente modificato dal Decreto Legislativo n. 277 del 2003.
I cittadini italiani che hanno conseguito un titolo professionale dell’area sanitaria in Italia e vogliono esercitare la professione in un altro Paese comunitario devono presentare domanda di riconoscimento del titolo all’autorità competente del Paese estero.
Coloro che hanno conseguito all’estero un titolo professionale dell’area sanitaria e intendono esercitare la professione in Italia devono presentare al Ministero della Salute italiano una richiesta di riconoscimento del titolo, utilizzando gli appositi modelli scaricabili direttamente dalla pagina del sito del Ministero