L’investimento in fondi comuni è sempre più diffuso e si sta dimostrando una delle forme di investimento del risparmio più efficiente.
Pur essendo relativamente nuovo, lo strumento dei fondi si dimostra già in fase di forte evoluzione, dimostrando una vitalità notevole e una grande capacità di adattamento alle variazioni di mercato.
La dimostrazione è data non solo dalle nuove forme di gestione proposte (si è passati dalle 3 categorie fondi “tradizionali” – obbligazionari, bilanciati ed azionari – alle attuali 20 categorie classificate da Assogestioni), ma anche dalle nuove forme di operatività sui fondi che possono essere realizzate dal singolo sottoscrittore.
Parlo in pratica di tecniche di gestione “personalizzata” dell’investimento che possono essere messe a punto per cercare di massimizzare il risultato complessivo dell’investimento e comunque di adeguarlo nel miglior modo possibile alle proprie esigenze.
Esaminiamo ora un esempio, costituito da un investimento in unica soluzione (nella formula cosiddetta PIC) in un fondo obbligazionario, abbinato ad un piano d’accumulo (PAC) in un fondo azionario.
La logica dell’abbinamento è evidente: posto che un fondo obbligazionario ha un contenuto “tranquillo”, un trend abbastanza regolare nel tempo e un elevato grado di sicurezza complessiva, esso rappresenta una delle soluzioni ideali per risparmiatori che cercano soluzioni a basso grado di rischio. Ma con il trend attuale dei tassi, caratterizzato da un calo drastico dei rendimenti, la ricerca della sicurezza “costa cara”, in quanto il capitale frutta non più di un 3-4% annuo.
Ecco allora che, fermo restando la scelta relativa all’investimento al fine di realizzare l’obbiettivo della sicurezza, può essere utile ed interessante affiancare al PIC un PAC nel quale versare, periodicamente, gli utili conseguiti.
In sostanza, il capitale resta sempre “al sicuro”, ma i proventi che a mano a mano maturano non restano reinvestiti nello stesso fondo, bensì sono indirizzati verso un investimento azionario, più volatile ma potenzialmente molto più redditizio.
Come attuare questa strategia di gestione? Si sottoscrive un fondo obbligazionario con la cifra che si desidera investire e ci si prefigge di fare “il punto della situazione” per esempio ogni sei mesi. Al momento del primo “traguardo” si apre un PAC in un fondo azionario, versandovi la plusvalenza maturata: si disinveste un numero di quote equivalente all’utile, trasferendo l’importo come primo versamento del piano. Successivamente allo scadere del primo anno si ripete l’operazione, trasferendo la nuova plusvalenza, e così via. Da rilevare che, data la natura del fondo “base”, è praticamente certo che ad ogni tappa si possa effettuare uno switch, e questo è chiaramente dimostrato.
A chi può essere utile un programma operativo del genere? Sicuramente a chi, avendo un profilo di rischio medio-basso, accetta l’idea di non stare rintanato nell’investimento tranquillo, ma, senza pregiudicare nulla del proprio prezioso gruzzolo investito, mette a rischio solo l’utile. Se va bene, migliora nettamente la performance complessiva grazie all’andamento del settore azionario che, nel lungo periodo, è sempre stato più brillante di quello obbligazionario. Se va male, peggiora il rendimento (in quanto l’investimento nel PAC, nell’ipotesi di un ribasso dei mercati azionari, potrebbe calare), ma comunque non mette a repentaglio il patrimonio iniziale: obbiettivo, questo, prioritario.
Sotto un certo aspetto, si può dire che una strategia del genere consente di costruirsi in casa una specie di “index linked”, uno strumento finanziario che unisce la garanzia del capitale all’indicizzazione del rendimento basata su uno o più indici di borsa.
L’analisi dei risultati conseguibili tramite la simulazione effettuata nell’arco di tempo che va dal marzo 1989 al marzo 1999 porta ad una conclusione netta: il passaggio dal PIC al PAC è vincente in quanto l’investimento offre un rendimento annualizzato netto del 13,42%.
Un risultato, come si rileva, nettamente superiore a quello ottenibile stando semplicemente “fermi” nel fondo obbligazionario di partenza (la crescita delle quotazioni è stata pari, nel periodo considerato, al 241%, con un rendimento annualizzato netto dell’8,33%).
Quel che deve essere sottolineato è che il risultato finale sostanzialmente non tocca la condizione base di partenza, costituita dall’esigenza-obbiettivo del risparmiatore di effettuare un investimento “tranquillo”; tranquillo si, ma, grazie all’abbinamento PIC e PAC, molto più redditizio.